mercoledì 21 gennaio 2009

Franca Tosi

LA STRATEGIA DELL’INCLUSIONE, OVVERO IL GIUOCO DELLE
PERLE DI VETRO


Il “Venturi” e’ stato ed e’ un laboratorio di saperi ed opere, di forte tensione intellettuale e fatica, di studio e manualita’; un nodo di cultura materiale, progettuale e simbolica ; il crocevia di realta’ trasfigurate e di immaginario che si traduce in forme concrete.
Molti di coloro che vi hanno studiato e operato, allievi, maestri, allievi che sono poi diventati maestri, hanno contribuito a delinearne il profilo, disseminando gli ambienti di tracce e presenze , destinandolo, nel corso del tempo, alla funzione di cura e custodia di vari materiali: statue, dipinti, appunti, schizzi, manufatti, disegni, reperti, modelli, libri e tant’altro, che, di natura, importanza e qualita’ certamente disparate, di valore storico ed artistico senza dubbio differenziato, sono, tutti, testimoni di momenti ed occasioni culturali, mode e modi , sensibilita’ e gusti che sono stati incontri e scontri, comunque sempre confronti; nonche’ di una creatività, nel passato come nel presente , viva e vitale. E ne hanno fatto anche, quei maestri, quegli allievi, un magazzino di memorie, dove, ancora, di alcuni colleghi si ricordano voci e volti, insieme con le produzioni, le abilita’ e gli insegnamenti e in un’eco riflessa, virtuale, inflessioni, risate, vezzi , intercalari inconfondibili, che quasi si sentono ancora rimbalzare tra i muri, per le scale, nei corridoi, in biblioteca, in mezzo ai gessi.
Il “Venturi” ha dunque interiorizzato aspetti molteplici e opposti, coltivato nel suo profondo, dati referenziali, ma anche elementi famtasmatici di immaginario; si è fatto entita’ mutante, che negli anni ha subito cambiamenti, accolto novita’ e assimilato diversita’, eppure immutata nella sua atmosfera in qualche modo rarefatta, sospesa, non allineata, vagamente ‘ my way’, nel suo arcano codice interno di riferimenti quasi solo per addetti ai lavori, nello strano, indefinibile senso di liberta’, che interferenze dall’esterno e cambiamenti di sedi e dirigenze, con relative visioni del mondo, non hanno sostanzialmente alterato.
E se, da un lato, in chi al Venturi attualmente studia e lavora, questo ha prodotto una sotterranea consapevolezza d’appartenenza implicita, la condivisione di una parola d’ordine segreta che ancora ci piace conoscere, dall’altro ha provocato una sorta di frattura con l’esterno. Nel corso del tempo, l’Istituto si e’ come avvitato, ripiegato su se stesso; anziché farsi promotore e protagonista di proposte culturali ed artistiche, e’ stato, per lo più, discreto osservatore, semmai fruitore, di quanto dagli altri veniva proposto; anziché mostrarsi e raccontarsi come soggetto, anziché connotarsi come interlocutore forte nella fenomenologia culturale e artistica del contesto cittadino e non, ha piuttosto sottolineato il suo isolamento e la sua specificità . Insistendo so-prattutto sul ruolo didattico e nell’intreccio col mondo del lavoro, prerogative del resto doverosamente ed innegabilmente fondamentali della sua natura e della sua storia, ha, forse, sottostimato potenzialità che vanno concretizzandosi quotidianamente nell’attività e nelle produzioni artistiche di molti dei suoi insegnanti e di alcuni dei suoi studenti o ex studenti. Infatti, e paradossalmente, gli attuali maestri del Venturi espongono sempre altrove.
In questo processo di isolamento e di autoreferenzialità, anche quella trama di tracce e presenze lasciata dai maestri del passato, rischia di diventare labirinto di segni, in cui gli spazi paiono dimensionarsi in stratificazioni, concrezioni, agglomerati, dal significato oscuro e gli oggetti sfilare come relitti di trascorsi naufragi estetici , brandelli di stili mescolati a caso, esibizioni evocative, che poco o nulla sanno evocare. Segni, che stanno inerti e zitti, pietrificati in alfabeti di lingue in disuso, lontanissimi dalla sempre più assordante , rutilante, visionaria, triviale, e ahinoi, quanto facilmente comprensibile , sarabanda di figurazioni e messaggi gridati, che tutti ci affligge . Segni che, amorosamente strappati alla rovina, miracolosamente sottratti all’oblio, di fronte alle piatte, esplicite, sbrigative semplificazioni dei sistemi comunicativi ora di moda, torreggiano gli uni accanto agli altri, astrusi ed enigmatici. Inutili, fino a quando la parola umana non li dispieghi e li spieghi, interpretandoli e rendendoli comprensibili. Ritornano, allora, quei segni, ad essere voce e memoria, reagenti alchemici deputati a dire appunto ciò che è e ciò che è stato, chi c’è stato e quando, a saldare il presente alla lunga catena di passati alle nostre spalle , a fermare in forma e sostanza di realizzazioni, esperienze, insomma vite, l’incessante flusso degli accadimenti e trasformare il tempo nei tempi degli uomini. Se tale prodigio può avvenire attraverso parole ed opere , l’iniziativa di ospitare nella rinnovata, storica, splendida Galleria delle Statue, mostre di artisti in qualche modo collegati al Venturi e di accompagnare questi eventi con l’edizione della rivista on line Via delle Belle Arti , di stampa libera, autogestita, mi pare un’occasione preziosa affinché il Venturi, nuovamente in dialogo con l’esterno, mostri le sue risorse e la sua ricchezza creativa, affinché il passato non venga perduto, il presente si possa valorizzare e dai segni frantumati che costellano l’Istituto emerga un’immagine i cui elementi forti possano essere riconosciuti ed esplorati : fisionomia complessa ed articolata, né ritratto né foto di gruppo, ma mobile correre dell’obiettivo dall’espressione di un volto a quella di un altro; respiro largo che accoglie ed include, non oppresso da limiti e censure, da attacchi di narcisismo, manie di protagonismo, rivalità, snobismi, pregiudizi; e che anche puo’ aprirsi alla seduzione dell’ossimoro, al richiamo dell’iperbole, alla sollecitazione del paradosso, alla benedizione dell’ironia; che tollera varietà, non solo prospettiche e visuali ma d’orizzonti di senso e di intenti, che sopporta alternative, divaricazioni, contrapposizioni; pensiero agile, vigile, curioso, che si configura nel rigore metodologico della ricerca analitica e nella sistematica rielaborazione delle sintesi, ma anche ama le folgorazioni improvvise, le epifanie dell’intuizione, e coniuga onesta’ intellettuale e coerenza con i propri valori e le proprie convinzioni e disposizione a conoscere altro, sempre e sempre di più; e, soprattutto, passione . Lieve filo d’Arianna che lega, con nodi d’acciaio, l’avventura di tanti.
E, soprattutto, passione per l’arte, orbita magica su cui, incessantemente, si effondono fiumi di ragione e sentimento, suolo in cui radicano scelte giovanili in fondo mai tradite, porto da cui partono e a cui giungono ricerche espressive, stilistiche e linguistiche, che durano quanto la vita, più della vita, eredità che si vuole lasciare intera ai nostri ragazzi, sapendo quale ricchezza, quale conforto, quale riscatto essa sia.
Ma di questo , e del titolo, parlerò altrove.
Franca Tosi

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