mercoledì 23 maggio 2012

NANNI AUSENDA




OMAGGIO AL MAESTRO : “ OPERE RECENTI ”

Di Davide Pecorari


Omaggio al maestro,prima esposizione, nasce da un sogno, un aiuto inatteso, una sorta di suggerimento:
 “ fai un primo passo verso l’antologica in progetto “.
“opere recenti ” infatti, ci permette di iniziare un percorso a ritroso nel tempo, non tanto celebrazione, anche se lecita e dovuta, ma un contributo alle nuove generazioni di artisti, di designers, di architetti, di amanti del bello, del razionale, della correttezza,dello sperimentare, studiare, dell’approfondire …
come in molti casi, anche Nanni, ritrova la pittura e la fotografia, come piacere personale, desiderio di comunicare, svincolato da ogni committenza, negli ultimi anni di vita, le date sul retro delle tele, 2008,2009... antecedenti sui files delle fotografie.
La mostra dedicata a Josef Albers, splendida, negli spazi della galleria civica e palazzina dei giardini, ce lo ha ricordato. Dopo una vita dedicata alla bauhaus ed al design, i quadrati policromi concentrici, irrompono e sanciscono il ritorno alla pittura, alle origini …
Quando nanni chiedera’ materiali, tele,colori ad olio,pennelli …  mi rende felice … perche’ so che ogni tanto, “si alzera’ il velo” su foto e quadri che da esse derivano …
Una visione in multicolor negativo, digitale, sorprendente, apparentemente cosi’ lontana dai grandi disegni, quei quadri in bianco e nero sulle scale della casa di Mario, suo fratello, i primi passi compiuti a Brera, che ci ricordano un poco Capogrossi …. ma in fondo cosi’ vicini.
Vengono in mente gli acquarelli liguri, le barche a vela eteree, i ritratti della madre, visti in Via Battaglia, da Piero, il fratello grande, custode dei lavori di Nanni giovane pittore, gli schizzi precisi, in bianco e nero, sorta di cartoline degli angoli prospettici piu’ belli di Milano, eseguiti durante gli studi in accademia, ma questa e’ un’altra storia … un altro appuntamento.
Entrambi abbiamo affrontato il tema delle foto televisive, care anche a Schifano, a Cesare leonardi e tanti altri artisti contemporanei … le mie erano realizzate su pellicola diapositiva, ektacrhome, o negativi b/n e a colori,ritoccate, intelaiate e proiettate o retroproiettate nei primi  anni ottanta. Spesso sono state selezionate insieme, in Via San Giacomo, sulla enorme lavagna luminosa,utilizzate per i concerti della xxx° divisione, una festa-evento alla francescana, o nelle discoteche…. 
 Dopo questo primo omaggio, con i tempi necessari, vista la mole di materiale prodotto nel campo del design, dell’architettura d’interni, delle nuove costruzioni e restauri, seguira’ l’antologica, corredata da un catalogo-biografia che speriamo esaustiva, una raccolta del disegno, dagli schizzi a matita, ai progetti di massima, i lucidi di studio colorati a matita, le grandi prospettive, lay out su canson presentati al committente, i definitivi a china e poi l’avvento del digitale con prove di stampa e plottate di grande formato, i ritocchi in b/n e a colori, matite buone,morbide.
La catalogazione delle pubblicazioni e dell’archivio e’ avviata, permettera’ di ricostruire la formazione, l’iter progettuale, dalla produzione giovanile alla Stilwood, all’esperinza bolognese “Ny Form”, la lunga collaborazione con l’architetto Guidobaldo Grossi, Beppe Vida-Mr luna, Valentino-pm, Novart, Sabot-Alain Delon, sino ai giorni nostri ( le agenzie bancarie, le sedi delle fondazioni, Milano 3 Mediolanum, l’auditorium Carimonte,oggi unicredit, nel fiera district di Kenzo tange a Bologna,la villa unifamiliare del 2008 pubblicata su ad International, il San Silvestro, demolito e ricostruito ex novo, pubblicato su Ottagono… gli attici pubblicati su “Bmm zone”, restauri e ristrutturazioni su “Riabita” ,sei decenni di lavoro appassionante.
I principi etici e professionali, la formazione, il suo carattere, lo orientano sempre piu’ alla razionalita’, al rigore, alla pulizia, alla cura “ piacevolmente spasmodica ” del dettaglio, del particolare costruttivo, l’associazione dei materiali, delle textures e dei colori.
Negli ultimi anni riemerge il piacere della/nella pittura, la ricerca fotografica,il gioco delle impostazioni, negativo colore, negativo bianco e nero… la televisione specchio del mondo.
Personaggi ed oggetti del quotidiano, del jet set artistico e musicale, aerei navi ed elicotteri, come giocattoli, emergono dalle geometrie cromatiche reinterpretati, a volte quasi irriconoscibili, pregevoli le velature rigorose, i tagli precisi.
L’attualita’ delle immagini e’ sorprendente, ancora una volta Nanni cavalca il tempo, riesce a rimanere sull’onda, si guarda intorno con l’occhio del bambino, vivace e curioso, scopritore, con quella modestia che ci ha sempre stupiti, lasciando trasparire una domanda … “ ci sono riuscito? ”.
Non ho mai visto, in trent’anni vissuti in studio con lui, qualcosa che non mi piacesse.







Uno sguardo su Dioniso
Una ipotesi di lettura per un inaspettato Ausenda

Di Franco Morselli



È la prima volta che l’associazione “Via delle Belle Arti” dedica una mostra ad un ex allievo del Venturi, ottemperando finalmente ad una delle sue istanze fondative fino ad ora, purtroppo, disattese. Giovanni Ausenda, detto Nanni, recentemente scomparso, studiò al Venturi alla fine degli anni ’40, proseguì i suoi studi all’Accademia di Brera, per dare poi inizio ad un’attività che lo vide tra i principali e più colti protagonisti della progettazione e del design d’interni a Modena, in un periodo, dagli anni ’60 ai nostri giorni, di sostanziale benessere per la città. L’esemplare percorso professionale e l’eccellenza ivi raggiunta rende lo studio della sua opera prezioso non solo per chi ne ha usufruito, ma, soprattutto, per quegli studenti che, frequentando attualmente la sua stessa scuola, si cimentano quotidianamente e con passione sugli stessi temi nei quali Ausenda è, e resterà, impareggiabile maestro.


A Modena il nome di Ausenda, se si esclude una ristretta cerchia di addetti ai lavori, e di privilegiati clienti, non ha conosciuto la popolarità di cui ha invece goduto la serie dei cosiddetti modenesi illustri. Ausenda è un nome da scoprire, a cominciare da questa mostra, a poco a poco, sotto la guida di coloro che lo hanno conosciuto bene.
È strano il modo scelto da Davide Pecorari, curatore della mostra e stretto collaboratore del maestro, per presentare alla città il personaggio. Ma è su questa stranezza, lampante per chiunque abbia nella mente almeno un’idea della vastissima produzione dello studio, che bisogna tentare di far luce.
Davide ha estratto dall’archivio del maestro una serie di immagini che apparentemente nulla hanno a che fare con la consolidata professionalità di Nanni, e le ha chiamate “opere recenti”. Poco importa l’esatto dato cronologico, ma ciò che emerge evidente è il contenuto di novità, l’effetto shock, che rappresenteranno agli occhi di chi, abituato all’impareggiabile precisione di ogni composizione, credeva forse di aver risolto in essa anche ogni complessità umana ed esistenziale, e quindi espressiva, dell’artista. I violenti lampi di luce e di colore imprigionati in queste foto mal si conciliano con la cristallina e rarefatta purezza che abita ogni sua architettura e ogni suo oggetto. E, sicuramente, i substrati ove affondano questi due lati della personalità appaiono in conflitto ai nostri occhi, come se un urgente rimosso, interiore e sociale nello stesso tempo, irrompesse a chiedere conto di una serenità di abitudini che forse, a ben guardare, a guardarsi intorno, non avesse ancora trovato la sua definitiva ragione d’essere.
È  una lotta del cuore contro la ragione, ragione che nessuno meglio del grande amico e fotografo Fontana ha saputo fissare in splendidi documenti di una scena che, nella sua raggelata e olimpica pretesa di immobilità assoluta, è nonostante ciò sottoposta al divenire, e al consumo, di ogni cosa.
Parlando di Davide Pecorari, curatore, come si è detto, della mostra e fotografo egli stesso, avevo scritto che le sue foto, messe in fila, costituivano  un poema del caos, “quasi un Mahabharata della modernità” ove il tutto si accumula e si giustappone senza ordine. Forte di una produzione professionale al di sopra di ogni sospetto, Nanni Ausenda si incammina sulla strada che Davide ha indicato. È il mondo delle allucinazioni, degli impasti psichedelici, di una percezione delle cose, cioè, antecedente o successiva, comunque lontanissima, alla formazione del giudizio e alla creazione della forma. Quanto di più lontano, quindi, dalle impeccabili organizzazioni dello spazio o dalle impaginazioni grafiche quasi estenuate nella loro raffinata perfezione che costituiscono la cifra poetica prima ancora che professionale del maestro.
È  un forte contrasto quindi quello che emerge dietro l’apparente tema univoco di questa mostra. È una dialettica tra due poli opposti dello spirito che quasi trovano il loro emblema nei due sunnominati amici-fotografi : Fontana e Pecorari, lo Zeus e il dio minore, il cantore della perfetta armonia della natura e l’inquieto bodhisattva del visibile.
Apollineo e dionisiaco sono termini ormai tanto radicati nella nostra mentalità da rendere immediatamente chiaro il pensiero di chi li chiami in causa.   Da una parte, nel ricordo dei suoi ammiratori, è Apollo stesso, la nietzschiana “magnifica immagine del principium individuationis” a guidare la mano del disegnatore di architetture e di arredi destinati a banche, uffici e luoghi di abitazione e di divertimento di una splendida borghesia; dall’altra parte, inaspettata, erompe violenta sulla scena la “terribile saggezza di Sileno” che, lontana anni luce dalla linearità educata dell’ufficialità, ci aggredisce e ci trascina in un mondo caotico  fatto di strani titoli, ricordi affioranti da un vocabolario giovanile e pop quasi dimenticato: “Abstract”, “Guys”, “Band”, “Elton J”, “Transport”.
 In questo secondo polo Nanni Ausenda si è lanciato con passione, dissolvendo con tenace follia in fluidi impasti di colore gli abituali squadri e le geometrie troppo rigide per poter ospitare il Tutto. Forse si dovrebbe parlare solo della crisi tipica di una fase della vita che, per lui come per tutti, si fa stagione di bilanci. Ma la sensazione è che in Nanni la crisi diventi, attraverso quei grumi di colore che sono le sue foto, paradigma di una crisi più vasta, prima ancora di valori che economica,  dove la legittima aspirazione di una borghesia locale, illuminata e moderna, ad una serena civiltà che si esprima in corrette ed equilibrate forme architettoniche (e relative filosofie del vivere) assiste al suo tramonto senza aver quasi intravisto l’alba. Come se l’immersione in questa sconfinata fantasmagoria di colori registrati con un automatismo precedente ad ogni comprensione fosse un’ultima fiammata, l’incendio catartico ove ogni residua illusione di un Geminiano Walhalla si consumasse nel suo inevitabile crepuscolo.
O, forse, più semplicemente, più naturalmente, il dionisiaco marginale e privato che qui emerge altro non è se non il giovanile, l’illimitato che, accennato quasi sotto tono nel “Filebo”di Platone, si fa in Proclo potente carburante della storia, che non consuma ma instancabilmente genera e rigenera. È la gioiosa energia del giovanile eterno, l’ansia insita negli spiriti più nobili di bruciare sempre per sempre rinnovarsi. È il cercare dentro se stessi il dimenticato per non dimenticarlo mai e continuamente riemergere quando la cornice dell’opposto, l’eternamente corretto, comincia a farsi troppo stretta. È il guardarsi dentro alla ricerca di quei miti della gioventù che come un vento propizio ti hanno fatto salpare verso i più o meno inaspettati traguardi della vita. Ecco, con ogni probabilità, il senso di queste misteriose immagini, senso che non contraddice, ma illumina con più chiarezza, ogni altra ipotesi. Apollineo e dionisiaco, limite e illimitato. I due poli opposti della dialettica dell’essere trovano nel succedersi della mostra presente e di quella necessaria una evidenza lucida e drammatica come solo dalla personalità di un grande artista ci si può aspettare.


Su questa mostra, come abbiamo detto, strana, frutto, giustamente, più di una subitanea ispirazione che di un freddo ragionamento, getterà una completa luce solo quella seconda mostra, che speriamo possa tenersi presto. Una mostra che racconti il progettista sapiente che qui abbiamo potuto cogliere solo in negativo, e che consacrerà definitivamente Nanni, ne sono certo, nell’olimpo dei Pavarotti, dei Ferrari e di tutti quelli che hanno contribuito a edificare il Pantheon delle glorie modenesi. E che soprattutto racconterà a tutti quegli studenti di architettura e di belle arti che, visitandola, ne vorranno cogliere il senso più profondo, l’umile e nobilissima, ma sempre meravigliosa avventura, di chi ha scelto di dedicare la sua vita a dare forma ai sogni umani.   

                                                                                                                               













martedì 8 maggio 2012

GENNARO PISCO: INAUGURAZIONE DELLA MOSTRA





5 maggio 2012. Nella galleria delle Statue la più celebre delle Nike ascolta da Gennaro Pisco e da Michele Fuoco il racconto di meno celebri, ma interessantissime, vittorie









giovedì 3 maggio 2012

UN ARTISTA IRRIVERENTE



presentazione alla mostra di Gennaro Pisco - inaugurazione sabato 5 maggio, ore 17.30 presso la galleria delle Statue in Corso Belle Arti, Modena




di Michele Fuoco



Verità storiche forse sgradite, imbarazzanti. Scomode ma ricche di problematiche attuali, soprattutto ora che si celebra il 150esimo anniversario dell’Unità d’Italia. Le rivela Gennaro Pisco con la parola e con il segno, per la sua capacità di rigoroso e sistematico ricercatore di storia meridionale e di colto artista. La parola scritta va di pari passo con l’immagine, in un rapporto nuziale, affabile. Non è solo la scrittura un inesauribile campo di analisi e di esperienze. Anche il segno si offre come elemento di conoscenza, perché efficace nel delineare descrittivamente, pur con variazioni e sottili incroci di elementi fantastici, i confini di un accadimento, di vicende individuali o collettive. Vicende riguardanti i Borbone che Pisco intende, almeno in parte, “riabilitare”, prendendo le distanze dalla denigratoria propaganda post-risorgimentale e dall’iconografia ufficiale.
Il ricercatore-artista napoletano più che avanzare ipotesi, ama ricostruire fatti realmente accaduti. Diventa irriverente nei confronti della maggior parte della storiografia protocollare, celebrativa, antiborbonica, nel segnalare episodi che si caratterizzano per aspetti umani, eroici, non privi di garbata ironia che sa di giocosa benevolenza.
Il lavoro di “revisione” che il lo studioso napoletano conduce da una ventina d’anni tende a ricostruire e a raccontare cose su cui altri hanno taciuto, rivendicando l’autenticità di “pagine” di una storia diversa che, in ogni caso, occorrerebbe giudicare con rispetto. Pagine che si sostanziano, in questa occasione espositiva, soprattutto del segno che, come evidenza strutturale dell’immagine, dà certezza di figurazione, per sostenere una maggiore conoscenza dei fatti. Il segno, che nutre l’acquaforte e acquatinta, ma anche la xilografia, si fa recupero storico, individuando e mantenendo vivo il reale tessuto delle vicende passate, e evidenziando la coscienza di un impegno di ricerca storica, anche corale, che Pisco porta avanti con scrupolosità di attento studioso per un coerente senso di verità.
La lunga consuetudine con il segno, capace di determinare presenze di eccezionale nitidezza, consente all’artista una folgorante corrispondenza tra l’idea e il suo incarnarsi nell’immagine che assume una sua distinta fisionomia nel rappresentare una nuova proposta di civiltà e nell’affermare la cultura della libertà di ricerca che, in questo caso, fa luce su episodi sconosciuti del Risorgimento visti attraverso la “storia dei vinti”.

“La mostra – sostiene Pisco – è uno scavo nella storia occulta del nostro Risorgimento. Scavare è portare alla luce pagine di storia che nessun artista dell’Ottocento ha potuto narrare per motivi di repressione politica.
Pagine oscure, che dal punto di vista storiografico aspettano ancora la verità”. E al segno, come pratica d’arte mai decaduta a semplice esercizio estetico, viene affidato, per sua natura diretta, il compito di presa immediata sul dato di verità. Una sorta di riconoscimento critico può essere, quindi, attribuito al disegno che è fondamento di tutta l’esperienza estetica ed umana dell’autore. Per formazione e per vocazione. Infatti Gennaro Pisco (Napoli 1945) è docente, da molti anni,  di arte della grafica pubblicitaria all’Istituto d’Arte “Adolfo Venturi” di Modena. Fondamentale la lezione di Nicola Gambedotti, dal quale ha appreso presso l’Istituto d’Arte “F. Palazzi” di Napoli la tecnica della xilografia; ma anche l’insegnamento della pittura di Armando De Stefano, docente di pittura all’Accademia di Belle Arti del capoluogo campano. Il suo debutto sulla scena espositiva nel 1986 avviene come xilografo, con la mostra “L’alchimia come rimorso. La scienza tradita” presso il Centro Studi Muratori di Modena. Seguono partecipazioni ad altre rassegne al Castello dei Pio di Carpi che privilegiano la xilografia.
Il disegno, come evidenza immediata di anatomia analitica, sarà sostanza delle 120 caricature che Pisco fa dei suoi colleghi, docenti all’Istituto Venturi, nella mostra “Se la memoria non m’inganna”, nel 2009, presso lo “Spazio Venturi” di Modena. L’attuale esposizione, costituita da incisioni, presso il Centro Museale “Casa Quaranta”, (sec. XIV), al Campo di Giove (L’Aquila) legittima ancora una volta il valore autonomo dell’esperienza disegnativa. “Anche se i temi trattati nelle tre “personali” sono diametralmente opposti, come visione concettuale e culturale, essi sono uniti  – continua l’artista – da un valore unico: il segno. La mostra sull’alchimia evidenza una ricerca nel mondo dell’occulto, del simbolo, nei rituali “misteriosofici” dell’iniziato. Quella della caricatura è indagine sui tratti somatici dell’uomo che, dice G. Battista Della Porta, sono “lo specchio dell’anima”. Indagine nella psiche umana, nei meandri più oscuri delle passioni che agitano l’animo umano, e della personalità”.
Con la mostra a Campo di Giove l’artista pare interrogare i luoghi, i personaggi ai quali  conferisce possibilità narrative in un segno forte nel risultato, nelle luci, nel racconto realista e fantasioso, proprio di un disegnatore puntiglioso, caldo interprete di tematiche imbarazzanti su cui

molti hanno preferito e preferiscono tacere. E l’opera punta a restare testimonianza in modo definitivo di un tempo “oscuro” in cui il segno di Pisco riesce ad aprire porte di comunicazione e di illuminazione, per accedere ai segreti più reconditi.
Si delinea un percorso entro varie problematiche storiche che una mostra non può esaurire. Per questo l’artista concepisce il suo lavoro come “work in progress”. Nel senso che alle opere presentate in questa esposizione si aggiungeranno, nel tempo e nelle prossime rassegne, altre incisioni di vigile controllo mentale per una più efficace adesione ad un realtà viva, passata per molti decenni, deliberatamente, sotto silenzio. Anche il linguaggio grafico, come la ricerca “trasgressiva” del cultore di storia, passa attraverso un processo di rottura della sfera convenzionale, rinunciando alla rigidità di rappresentazione e sostenendo un criterio di selezione dell’immagine per un rilevamento dentro una rete ampia di punti di osservazione, di rapporti, di vita pulsante, di nuovi orizzonti. In questo Pisco riconosce la propria vera identità di artista, un’arte come desiderio e speranza di verità.