lunedì 3 maggio 2010

CINQUE STORIE DA UNA LANTERNA MAGICA

Franca Tosi

Le storie che Silvio Leone magistralmente ci racconta, in immagine e scrittura, stanno in uno spazio simbolico variamente percorso: vi confluiscono correnti sotterranee, proiezioni dell’io, possibilità virtuali, sogni ad occhi chiusi e aperti, stati d’animo, affetti, paure, che da un profondo cuore di tenebra affiorano nella luce, manifestandosi, definendosi; ed anche voci e terra d’infanzia, ricordi, radici; le canzoni, le danze, i travestimenti, la lanterna magica, i trampoli, i giochi di prestigio, i burattini sul sagrato della chiesa, nelle fiere, sulle aie, tradizionali vene d’espressione popolare che artisti di ventura e cantastorie e guitti girovaghi hanno custodito, tramandato e a lui, e a Bebette, consegnato; ed anche spettacoli, di nicchia e di piazza, in cui pensiero, parola ed opera si son fatti testimonianza viva di un’alterità culturale da salvare e proteggere, campioni di un’arte d’improvvisazione che nella strada e nella gente della strada ha la sua cifra ed il suo margine e nell’evento, irripetibile e condiviso, la sua funzione rituale; arte trasversale, che sopravvive al diluvio massmediatico, omologante ed ossequiente, ora dilagante, che tanto della coscienza storica, dell’impegno sociale, dell’onestà intellettuale di più generazioni, ha spazzato e va spazzando via; arte di memoria, di passione, di resistenza.
Vengono, le storie di Silvio Leone, dal luogo indistinto dove l’incanto seduttivo delle favole, raccontato dalle nonne o dai fumetti, si incrocia con l’esercizio di una rigorosa disciplina manuale ed intellettuale e aneddoti ben noti, personaggi tipici, sviluppi narrativi consolidati e consueti, diventano occasione di originalità, dispiegando un apparato epistemologico largo e solido, che si intuisce conquistato con metodo e tenacia, giorno dopo giorno, incontro dopo incontro; in esso, l’io e il rapporto tra l’io e ciò che è reale e non reale, la fenomenologia degli accadimenti, il loro incessante presentarsi alla coscienza ed incessantemente chiederle adattamenti, ristrutturazioni, innesti e le conseguenti mutazioni dell’io, costituiscono i fondamentali della ricerca; una ricerca tutta disposta, una volta ancora, nell’intreccio tra passato e l’orizzonte del senso della contemporaneità: da un lato, nel dialogo continuo tra saperi ereditati, conservati, amati e saperi nuovi, altrettanto amati, acquisiti direttamente nell’avventura del vivere e del conoscere; dall’altro, nell’inesauribile dialettica di confronto tra ciò che è immediato, particolare, circostanziale dato di esperienza ed una riflessione più estesa, espansa qui ed altrove, che arriva ad una rielaborazione cosmopolita ed astratta. Così, pagine di diario minimo trasmigrano nell’universalità, diventando modelli, paradigmi, parabole.
Si muovono, le storie di Silvio Leone, sulle piste di un immaginario di confine, che rievoca le letture dell’adolescenza, i loro mondi abitati da creature enigmatiche ed affascinanti, spesso ostili, minacciose, selvagge; quegli scenari un pò esotici e un po’ dietro casa, disseminati di curiosità e delizie, ma anche di pericoli e trappole; i loro protagonisti sempre in cammino, impegnati in prove da superare, alle prese con l’ignoto. E, sul confine, l’eroe, timido e intraprendente, spaventato e curioso, raccorda eventi fantastici ed eccezionali con episodi di disarmante problematicità quotidiana, coniuga l’usuale lessico familiare in metafore complesse, quasi oracolari, cambia la paura in gesto apotropaico, in attesa sapiente, in sorriso. Così, il festival della magia, la prodigiosa mano di Silvio Leone, si specchia nel festival della filosofia, il suo pensiero.
Sottoposte ad un’analisi comparativa, le cinque storie qui raccolte presentano elementi comuni.
In tutte, infatti, l’impianto compositivo segue la scansione tradizionale del racconto-fiaba.
Si presenta una situazione iniziale, caratterizzata da ambientazioni vaghe, i giardini pubblici di un paese, la stanza di casa che ospita un vecchio armadio, sentieri tra i campi, una barca sul mare, l’aeroporto di Toronto; collocazioni temporali indefinite, una notte, un giorno, adesso, personaggi poco connotati, il testimone nascosto, il narratore, il marinaio, un tale, le cui azioni sono spesso sostenute da motivazioni casuali più che causali.
Ci si trova a dover affrontare una situazione problematica, o compiere un’impresa più o meno rischiosa per il protagonista, sgradevole, imbarazzante, paralizzante: un enorme e spaventoso volatile sta in attesa nella notte, un narratore si sente in colpa nei confronti di un personaggio dimenticato, un marinaio finisce tra le piovre e non sa come regolarsi, un narratore non riesce a raccontare la storia di un viaggiatore che dovrebbe fare un viaggio ma non lo fa perché il narratore non riesce a raccontarlo, un tale si abbandona alla seduzione dell’acqua e non sa più come cavarsela.
Si arriva al turning point, che viene prodotto da un’azione, o comportamento reattivo, o scelta operativa da parte del protagonista: il testimone abbandona il suo nascondiglio, il narratore cerca di rimediare con scuse e spiegazioni, il marinaio getta l’acqua del secchio sulla piovra, il narratore trae dalla borsa un rotolo di carta non scritta che esplicita lo stato delle cose, il tale prima si abbandona, poi lotta con l’ acqua; e questa svolta permette di superare l’inerzia. Si determina, dunque, una situazione finale risolutiva: il testimone si sistema sulla panchina al posto dell’uccello, il personaggio è perfettamente a suo agio anche senza che il narratore si occupi di lui, la piovra diventa sempre più piccola ed inoffensiva, il narratore dipinge la prima scena della storia, il tale si fonde con la pozza d’acqua che lo assorbe, migliorandola.
Secondo la tradizione del racconto-fiaba, superata la difficoltà, l’ordine è ristabilito e i ruoli sono riconfermati in un finale confortante che ripristina le condizioni dell’inizio. Alcuni elementi, tuttavia, divergono da questo prevedibile impianto classico. Nei protagonisti, travestito in diverse fogge, si ravvisa sempre lo stesso personaggio, impegnato in una serie ininterrotta di avventure; in altre parole, l’artista e il percorso che egli compie nella vita e nella conoscenza. A volte, luoghi (il paese delle piovre, l’armadio in cui vive il personaggio trascurato), tempi (il giornale che racconta ciò che non è ancora avvenuto), accadimenti (il personaggio dimenticato nell’armadio che ha una vita sua, quasi in competizione con il narratore, la pozza d’acqua che “si risente”, “si oppone per ribadire la propria identità”, l’enorme uccello in attesa che qualcuno capiti lì) sono impossibili e spingono verso un mondo che non c’è, onirico, personalissimo.
Le immagini, così sapientemente disegnate, l’orso, l’enorme volatile, l’acqua, il personaggio nell’armadio, la piovra, possono essere interpretate come archetipi e simboli che evocano per tutti situazioni esperienziali e relazionali difficili, paure, minacce, rinunce, barriere, ostacoli ad una libera affermazione ed espressione del sé, ma anche come parti di un codice di riferimento assolutamente individuale e privato, che rivela il rapporto, talvolta tormentato, che lega l’artista alla creazione artistica. In questo senso, esse si presentano in una valenza ambigua, negativa in quanto limite, fatica, selezione, esclusione, eppure positiva se stimolano a ricercare il meglio di sé, per sapersi adeguare a parametri posti da altri e dimostrare a se stessi di essere all’altezza delle richieste. Introducono, quindi, il tema, essenziale, di un imprevisto che attende dietro ogni angolo della via e della vita, incessantemente, necessariamente, chiamando ad esercizi di comprensione e ridefinizione, a pratiche di adattamento e riposizionamento.
Le frequenti metamorfosi a cui assistiamo sono espedienti narrativi che contribuiscono a determinare uno scenario mobile e fluido, fatto di passaggi di stato, possibilità aperte e cambiamenti; accennano ad una sorta di comunicazione tra elementi, di fusione, di empatia, in cui tutto può relazionarsi con tutto. In questo senso si colloca anche la scelta del finale aperto delle storie che restano sospese e ricominciano, secondo una dinamica circolare, proprio là dove il protagonista ha realizzato la sua vittoria, ha guadagnato una diversa posizione che è anche un diverso punto di vista, si è sostituito a qualcun altro, acquisendo nuove conoscenze, preparandosi a nuovi giochi, a nuove sfide.
Se l’orizzonte di senso è l’incessante dialettica del conoscere e del vivere, il gioco è sapersi modificare, travestire, rinnovare, pur rimanendo gli stessi; la sfida, è rendere inoffensivo, addirittura familiare ed alleato, il perturbante e farne, il più possibile, risorsa e ricchezza.
Dunque, la sostanza di cui sono fatte le storie che Silvio Leone racconta è, ancora una volta, venata d’intrecci: lo schema tradizionale del racconto-fiaba si incrocia con irruzioni surrealiste e grottesche, forse mutuate dalla scrittura dell’assurdo e del nonsense; la struttura profonda che in ogni storia ripete la trasposizione del rito iniziatico arcaico, sembra accogliere sollecitazioni di matrice psicoanalitica verso una terapia dell’anima e di riparazione nell’arte; la tensione pedagogica che, lievemente ma costantemente, sottende l’impianto delle storie, si stempera nella pratica di sospensione, pazienza ed autodisciplina che deriva da una lunga dimestichezza con la filosofia zen. E tutto, poi, si colora di un umorismo sornione, filantropico, onnicomprensivo, che ricorda il sorriso lontano ed imperturbabilmente sereno del Budda, ma anche quello, vicino e mariuolo, di Pulcinella.
Perché, in ultima analisi, vita, conoscenza e arte sembrano essere, inevitabilmente, terra di contaminazione. Lì, infine, ci conducono le storie di Silvio Leone, collocandoci al posto dell’enorme volatile che prima ci spaventava, facendoci assumere la multiforme forma dell’acqua, alcune volte vincendo, come con la piovra, altre imparando a perdere, a rassegnarci, a stare nel margine guardando ciò che pensavamo nostro, andarsene per conto suo, malgrado noi; continuando a seguire le tracce dell’orso alla ricerca delle tracce dell’orso, inventandoci un altro scherzo, un’altra imprevista solidarietà; anche noi librandoci in aria, mentre osserviamo volare via, insieme, corvi e spaventapasseri.




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