domenica 10 giugno 2012
mercoledì 23 maggio 2012
NANNI AUSENDA
OMAGGIO AL
MAESTRO : “ OPERE RECENTI ”
Di Davide Pecorari
Omaggio al
maestro,prima esposizione, nasce da un sogno, un aiuto inatteso, una sorta di
suggerimento:
“ fai un primo passo verso l’antologica in
progetto “.
“opere recenti ” infatti, ci permette di iniziare un percorso
a ritroso nel tempo, non tanto celebrazione, anche se lecita e dovuta, ma un
contributo alle nuove generazioni di artisti, di designers, di architetti, di
amanti del bello, del razionale, della correttezza,dello sperimentare,
studiare, dell’approfondire …
come in molti casi, anche Nanni, ritrova la pittura e la
fotografia, come piacere personale, desiderio di comunicare, svincolato da ogni
committenza, negli ultimi anni di vita, le date sul retro delle tele,
2008,2009... antecedenti sui files delle fotografie.
La mostra dedicata a Josef Albers, splendida, negli spazi
della galleria civica e palazzina dei giardini, ce lo ha ricordato. Dopo una
vita dedicata alla bauhaus ed al design, i quadrati policromi concentrici,
irrompono e sanciscono il ritorno alla pittura, alle origini …
Quando nanni chiedera’ materiali, tele,colori ad
olio,pennelli … mi rende felice …
perche’ so che ogni tanto, “si alzera’ il velo” su foto e quadri che da esse
derivano …
Una visione in multicolor negativo, digitale, sorprendente,
apparentemente cosi’ lontana dai grandi disegni, quei quadri in bianco e nero
sulle scale della casa di Mario, suo fratello, i primi passi compiuti a Brera,
che ci ricordano un poco Capogrossi …. ma in fondo cosi’ vicini.
Vengono in mente gli acquarelli liguri, le barche a vela
eteree, i ritratti della madre, visti in Via Battaglia, da Piero, il fratello
grande, custode dei lavori di Nanni giovane pittore, gli schizzi precisi, in
bianco e nero, sorta di cartoline degli angoli prospettici piu’ belli di Milano,
eseguiti durante gli studi in accademia, ma questa e’ un’altra storia … un altro appuntamento.
Entrambi abbiamo affrontato il tema delle foto televisive,
care anche a Schifano, a Cesare leonardi e tanti altri artisti contemporanei …
le mie erano realizzate su pellicola diapositiva, ektacrhome, o negativi b/n e
a colori,ritoccate, intelaiate e proiettate o retroproiettate nei primi anni ottanta. Spesso sono state selezionate
insieme, in Via San Giacomo, sulla enorme lavagna luminosa,utilizzate per i concerti
della xxx° divisione, una festa-evento alla francescana, o nelle discoteche….
Dopo questo primo
omaggio, con i tempi necessari, vista la mole di materiale prodotto nel campo
del design, dell’architettura d’interni, delle nuove costruzioni e restauri,
seguira’ l’antologica, corredata da un catalogo-biografia che speriamo
esaustiva, una raccolta del disegno, dagli schizzi a matita, ai progetti di
massima, i lucidi di studio colorati a matita, le grandi prospettive, lay out
su canson presentati al committente, i definitivi a china e poi l’avvento del
digitale con prove di stampa e plottate di grande formato, i ritocchi in b/n e
a colori, matite buone,morbide.
La catalogazione delle pubblicazioni e dell’archivio e’
avviata, permettera’ di ricostruire la formazione, l’iter progettuale, dalla
produzione giovanile alla Stilwood, all’esperinza bolognese “Ny Form”, la lunga
collaborazione con l’architetto Guidobaldo Grossi, Beppe Vida-Mr luna,
Valentino-pm, Novart, Sabot-Alain Delon, sino ai giorni nostri ( le agenzie
bancarie, le sedi delle fondazioni, Milano 3 Mediolanum, l’auditorium Carimonte,oggi
unicredit, nel fiera district di Kenzo tange a Bologna,la villa unifamiliare
del 2008 pubblicata su ad International, il San Silvestro, demolito e ricostruito
ex novo, pubblicato su Ottagono… gli attici pubblicati su “Bmm zone”, restauri
e ristrutturazioni su “Riabita” ,sei decenni di lavoro appassionante.
I principi etici e professionali, la formazione, il suo
carattere, lo orientano sempre piu’ alla razionalita’, al rigore, alla pulizia,
alla cura “ piacevolmente spasmodica ” del dettaglio, del particolare
costruttivo, l’associazione dei materiali, delle textures e dei colori.
Negli ultimi anni riemerge il piacere della/nella pittura,
la ricerca fotografica,il gioco delle impostazioni, negativo colore, negativo
bianco e nero… la televisione specchio del mondo.
Personaggi ed oggetti del quotidiano, del jet set artistico
e musicale, aerei navi ed elicotteri, come giocattoli, emergono dalle geometrie
cromatiche reinterpretati, a volte quasi irriconoscibili, pregevoli le velature
rigorose, i tagli precisi.
L’attualita’ delle immagini e’ sorprendente, ancora una
volta Nanni cavalca il tempo, riesce a rimanere sull’onda, si guarda intorno
con l’occhio del bambino, vivace e curioso, scopritore, con quella modestia che
ci ha sempre stupiti, lasciando trasparire una domanda … “ ci sono riuscito? ”.
Non ho mai visto, in trent’anni vissuti in studio con lui,
qualcosa che non mi piacesse.
Una ipotesi di lettura per un inaspettato
Ausenda
Di Franco Morselli
È la prima volta che l’associazione “Via
delle Belle Arti” dedica una mostra ad un ex allievo del Venturi, ottemperando
finalmente ad una delle sue istanze fondative fino ad ora, purtroppo,
disattese. Giovanni Ausenda, detto Nanni, recentemente scomparso, studiò al
Venturi alla fine degli anni ’40, proseguì i suoi studi all’Accademia di Brera,
per dare poi inizio ad un’attività che lo vide tra i principali e più colti
protagonisti della progettazione e del design d’interni a Modena, in un
periodo, dagli anni ’60 ai nostri giorni, di sostanziale benessere per la
città. L’esemplare percorso professionale e l’eccellenza ivi raggiunta rende lo
studio della sua opera prezioso non solo per chi ne ha usufruito, ma,
soprattutto, per quegli studenti che, frequentando attualmente la sua stessa
scuola, si cimentano quotidianamente e con passione sugli stessi temi nei quali
Ausenda è, e resterà, impareggiabile maestro.
A Modena il nome di Ausenda, se si
esclude una ristretta cerchia di addetti ai lavori, e di privilegiati clienti,
non ha conosciuto la popolarità di cui ha invece goduto la serie dei cosiddetti
modenesi illustri. Ausenda è un nome da scoprire, a cominciare da questa
mostra, a poco a poco, sotto la guida di coloro che lo hanno conosciuto bene.
È strano il modo scelto da Davide
Pecorari, curatore della mostra e stretto collaboratore del maestro, per
presentare alla città il personaggio. Ma è su questa stranezza, lampante per
chiunque abbia nella mente almeno un’idea della vastissima produzione dello studio,
che bisogna tentare di far luce.
Davide ha estratto dall’archivio del
maestro una serie di immagini che apparentemente nulla hanno a che fare con la
consolidata professionalità di Nanni, e le ha chiamate “opere recenti”. Poco
importa l’esatto dato cronologico, ma ciò che emerge evidente è il contenuto di
novità, l’effetto shock, che rappresenteranno agli occhi di chi, abituato
all’impareggiabile precisione di ogni composizione, credeva forse di aver
risolto in essa anche ogni complessità umana ed esistenziale, e quindi
espressiva, dell’artista. I violenti lampi di luce e di colore imprigionati in
queste foto mal si conciliano con la cristallina e rarefatta purezza che abita
ogni sua architettura e ogni suo oggetto. E, sicuramente, i substrati ove
affondano questi due lati della personalità appaiono in conflitto ai nostri
occhi, come se un urgente rimosso, interiore e sociale nello stesso tempo,
irrompesse a chiedere conto di una serenità di abitudini che forse, a ben
guardare, a guardarsi intorno, non avesse ancora trovato la sua definitiva
ragione d’essere.
È
una lotta del cuore contro la ragione, ragione che nessuno meglio del grande
amico e fotografo Fontana ha saputo fissare in splendidi documenti di una scena
che, nella sua raggelata e olimpica pretesa di immobilità assoluta, è nonostante
ciò sottoposta al divenire, e al consumo, di ogni cosa.
Parlando di Davide Pecorari, curatore,
come si è detto, della mostra e fotografo egli stesso, avevo scritto che le sue
foto, messe in fila, costituivano un
poema del caos, “quasi un Mahabharata della modernità” ove il tutto si accumula
e si giustappone senza ordine. Forte di una produzione professionale al di
sopra di ogni sospetto, Nanni Ausenda si incammina sulla strada che Davide ha
indicato. È il mondo delle allucinazioni, degli impasti psichedelici, di una
percezione delle cose, cioè, antecedente o successiva, comunque lontanissima,
alla formazione del giudizio e alla creazione della forma. Quanto di più lontano,
quindi, dalle impeccabili organizzazioni dello spazio o dalle impaginazioni
grafiche quasi estenuate nella loro raffinata perfezione che costituiscono la
cifra poetica prima ancora che professionale del maestro.
È
un forte contrasto quindi quello che emerge dietro l’apparente tema
univoco di questa mostra. È una dialettica tra due poli opposti dello spirito
che quasi trovano il loro emblema nei due sunnominati amici-fotografi : Fontana
e Pecorari, lo Zeus e il dio minore, il cantore della perfetta armonia della
natura e l’inquieto bodhisattva del visibile.
Apollineo e dionisiaco sono termini
ormai tanto radicati nella nostra mentalità da rendere immediatamente chiaro il
pensiero di chi li chiami in causa. Da una parte, nel ricordo dei suoi ammiratori,
è Apollo stesso, la nietzschiana “magnifica immagine del principium individuationis” a guidare la mano del disegnatore di
architetture e di arredi destinati a banche, uffici e luoghi di abitazione e di
divertimento di una splendida borghesia; dall’altra parte, inaspettata, erompe
violenta sulla scena la “terribile saggezza di Sileno” che, lontana anni luce
dalla linearità educata dell’ufficialità, ci aggredisce e ci trascina in un
mondo caotico fatto di strani titoli,
ricordi affioranti da un vocabolario giovanile e pop quasi dimenticato:
“Abstract”, “Guys”, “Band”, “Elton J”, “Transport”.
In questo secondo polo Nanni Ausenda si è
lanciato con passione, dissolvendo con tenace follia in fluidi impasti di
colore gli abituali squadri e le geometrie troppo rigide per poter ospitare il
Tutto. Forse si dovrebbe parlare solo della crisi tipica di una fase della vita
che, per lui come per tutti, si fa stagione di bilanci. Ma la sensazione è che
in Nanni la crisi diventi, attraverso quei grumi di colore che sono le sue
foto, paradigma di una crisi più vasta, prima ancora di valori che
economica, dove la legittima aspirazione
di una borghesia locale, illuminata e moderna, ad una serena civiltà che si esprima
in corrette ed equilibrate forme architettoniche (e relative filosofie del
vivere) assiste al suo tramonto senza aver quasi intravisto l’alba. Come se
l’immersione in questa sconfinata fantasmagoria di colori registrati con un
automatismo precedente ad ogni comprensione fosse un’ultima fiammata, l’incendio
catartico ove ogni residua illusione di un Geminiano Walhalla si consumasse nel
suo inevitabile crepuscolo.
O, forse, più semplicemente, più
naturalmente, il dionisiaco marginale e privato che qui emerge altro non è se non
il giovanile, l’illimitato che, accennato quasi sotto tono nel “Filebo”di
Platone, si fa in Proclo potente carburante della storia, che non consuma ma
instancabilmente genera e rigenera. È la gioiosa energia del giovanile eterno,
l’ansia insita negli spiriti più nobili di bruciare sempre per sempre
rinnovarsi. È il cercare dentro se stessi il dimenticato per non dimenticarlo
mai e continuamente riemergere quando la cornice dell’opposto, l’eternamente
corretto, comincia a farsi troppo stretta. È il guardarsi dentro alla ricerca
di quei miti della gioventù che come un vento propizio ti hanno fatto salpare
verso i più o meno inaspettati traguardi della vita. Ecco, con ogni
probabilità, il senso di queste misteriose immagini, senso che non contraddice,
ma illumina con più chiarezza, ogni altra ipotesi. Apollineo e dionisiaco,
limite e illimitato. I due poli opposti della dialettica dell’essere trovano
nel succedersi della mostra presente e di quella necessaria una evidenza lucida
e drammatica come solo dalla personalità di un grande artista ci si può
aspettare.
Su questa mostra, come abbiamo detto,
strana, frutto, giustamente, più di una subitanea ispirazione che di un freddo
ragionamento, getterà una completa luce solo quella seconda mostra, che
speriamo possa tenersi presto. Una mostra che racconti il progettista sapiente
che qui abbiamo potuto cogliere solo in negativo, e che consacrerà
definitivamente Nanni, ne sono certo, nell’olimpo dei Pavarotti, dei Ferrari e
di tutti quelli che hanno contribuito a edificare il Pantheon delle glorie
modenesi. E che soprattutto racconterà a tutti quegli studenti di architettura
e di belle arti che, visitandola, ne vorranno cogliere il senso più profondo,
l’umile e nobilissima, ma sempre meravigliosa avventura, di chi ha scelto di
dedicare la sua vita a dare forma ai sogni umani.
martedì 8 maggio 2012
GENNARO PISCO: INAUGURAZIONE DELLA MOSTRA
5 maggio 2012. Nella galleria delle Statue la più celebre delle Nike ascolta da Gennaro Pisco e da Michele Fuoco il racconto di meno celebri, ma interessantissime, vittorie
giovedì 3 maggio 2012
UN ARTISTA IRRIVERENTE
presentazione alla mostra di Gennaro Pisco - inaugurazione sabato 5 maggio, ore 17.30 presso la galleria delle Statue in Corso Belle Arti, Modena
di Michele Fuoco
Verità
storiche forse sgradite, imbarazzanti. Scomode ma ricche di problematiche
attuali, soprattutto ora che si celebra il 150esimo anniversario dell’Unità
d’Italia. Le rivela Gennaro Pisco con la parola e con il segno, per la sua capacità
di rigoroso e sistematico ricercatore di storia meridionale e di colto artista.
La parola scritta va di pari passo con l’immagine, in un rapporto nuziale,
affabile. Non è solo la scrittura un inesauribile campo di analisi e di
esperienze. Anche il segno si offre come elemento di conoscenza, perché
efficace nel delineare descrittivamente, pur con variazioni e sottili incroci
di elementi fantastici, i confini di un accadimento, di vicende individuali o
collettive. Vicende riguardanti i Borbone che Pisco intende, almeno in parte,
“riabilitare”, prendendo le distanze dalla denigratoria propaganda
post-risorgimentale e dall’iconografia ufficiale.
Il
ricercatore-artista napoletano più che avanzare ipotesi, ama ricostruire fatti
realmente accaduti. Diventa irriverente nei confronti della maggior parte della
storiografia protocollare, celebrativa, antiborbonica, nel segnalare episodi
che si caratterizzano per aspetti umani, eroici, non privi di garbata ironia
che sa di giocosa benevolenza.
Il
lavoro di “revisione” che il lo studioso napoletano conduce da una ventina
d’anni tende a ricostruire e a raccontare cose su cui altri hanno taciuto,
rivendicando l’autenticità di “pagine” di una storia diversa che, in ogni caso,
occorrerebbe giudicare con rispetto. Pagine che si sostanziano, in questa
occasione espositiva, soprattutto del segno che, come evidenza strutturale
dell’immagine, dà certezza di figurazione, per sostenere una maggiore
conoscenza dei fatti. Il segno, che nutre l’acquaforte e acquatinta, ma anche
la xilografia, si fa recupero storico, individuando e mantenendo vivo il reale
tessuto delle vicende passate, e evidenziando la coscienza di un impegno di
ricerca storica, anche corale, che Pisco porta avanti con scrupolosità di
attento studioso per un coerente senso di verità.
La
lunga consuetudine con il segno, capace di determinare presenze di eccezionale
nitidezza, consente all’artista una folgorante corrispondenza tra l’idea e il
suo incarnarsi nell’immagine che assume una sua distinta fisionomia nel
rappresentare una nuova proposta di civiltà e nell’affermare la cultura della
libertà di ricerca che, in questo caso, fa luce su episodi sconosciuti del
Risorgimento visti attraverso la “storia dei vinti”.
“La
mostra – sostiene Pisco – è uno scavo nella storia occulta del nostro
Risorgimento. Scavare è portare alla luce pagine di storia che nessun artista
dell’Ottocento ha potuto narrare per motivi di repressione politica.
Pagine
oscure, che dal punto di vista storiografico aspettano ancora la verità”. E al
segno, come pratica d’arte mai decaduta a semplice esercizio estetico, viene
affidato, per sua natura diretta, il compito di presa immediata sul dato di
verità. Una sorta di riconoscimento critico può essere, quindi, attribuito al
disegno che è fondamento di tutta l’esperienza estetica ed umana dell’autore.
Per formazione e per vocazione. Infatti Gennaro Pisco (Napoli 1945) è docente,
da molti anni, di arte della grafica
pubblicitaria all’Istituto d’Arte “Adolfo Venturi” di Modena. Fondamentale la lezione
di Nicola Gambedotti, dal quale ha appreso presso l’Istituto d’Arte “F.
Palazzi” di Napoli la tecnica della xilografia; ma anche l’insegnamento della
pittura di Armando De Stefano, docente di pittura all’Accademia di Belle Arti
del capoluogo campano. Il suo debutto sulla scena espositiva nel 1986 avviene
come xilografo, con la mostra “L’alchimia come rimorso. La scienza tradita”
presso il Centro Studi Muratori di Modena. Seguono partecipazioni ad altre
rassegne al Castello dei Pio di Carpi che privilegiano la xilografia.
Il
disegno, come evidenza immediata di anatomia analitica, sarà sostanza delle 120
caricature che Pisco fa dei suoi colleghi, docenti all’Istituto Venturi, nella
mostra “Se la memoria non m’inganna”, nel 2009, presso lo “Spazio Venturi” di
Modena. L’attuale esposizione, costituita da incisioni, presso il Centro
Museale “Casa Quaranta”, (sec. XIV), al Campo di Giove (L’Aquila) legittima
ancora una volta il valore autonomo dell’esperienza disegnativa. “Anche se i
temi trattati nelle tre “personali” sono diametralmente opposti, come visione
concettuale e culturale, essi sono uniti
– continua l’artista – da un valore unico: il segno. La mostra
sull’alchimia evidenza una ricerca nel mondo dell’occulto, del simbolo, nei
rituali “misteriosofici” dell’iniziato. Quella della caricatura è indagine sui
tratti somatici dell’uomo che, dice G. Battista Della Porta, sono “lo specchio
dell’anima”. Indagine nella psiche umana, nei meandri più oscuri delle passioni
che agitano l’animo umano, e della personalità”.
Con
la mostra a Campo di Giove l’artista pare interrogare i luoghi, i personaggi ai
quali conferisce possibilità narrative
in un segno forte nel risultato, nelle luci, nel racconto realista e
fantasioso, proprio di un disegnatore puntiglioso, caldo interprete di
tematiche imbarazzanti su cui
molti
hanno preferito e preferiscono tacere. E l’opera punta a restare testimonianza
in modo definitivo di un tempo “oscuro” in cui il segno di Pisco riesce ad
aprire porte di comunicazione e di illuminazione, per accedere ai segreti più
reconditi.
Si
delinea un percorso entro varie problematiche storiche che una mostra non può
esaurire. Per questo l’artista concepisce il suo lavoro come “work in
progress”. Nel senso che alle opere presentate in questa esposizione si
aggiungeranno, nel tempo e nelle prossime rassegne, altre incisioni di vigile
controllo mentale per una più efficace adesione ad un realtà viva, passata per
molti decenni, deliberatamente, sotto silenzio. Anche il linguaggio grafico,
come la ricerca “trasgressiva” del cultore di storia, passa attraverso un
processo di rottura della sfera convenzionale, rinunciando alla rigidità di
rappresentazione e sostenendo un criterio di selezione dell’immagine per un
rilevamento dentro una rete ampia di punti di osservazione, di rapporti, di
vita pulsante, di nuovi orizzonti. In questo Pisco riconosce la propria vera
identità di artista, un’arte come desiderio e speranza di verità.
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