domenica 14 marzo 2010

REALTA' E MAGIA NEL COLORE DEL QUOTIDIANO




di Domenico Pirondini

“Ci si mette molto per diventare giovani” affermava, felice, Picasso.
La realtà che percepiamo è spesso diversissima dalla realtà ottica. I bambini, che non conoscono le regole della prospettiva, sono involontariamente cubisti, disegnando contemporaneamente più facciate delle loro casette e cogliendo, istintivamente, tutte le cose. La realtà cubista comprende, d’altra parte, il fattore tempo, che per la prima volta con il maestro catalano, entra nel linguaggio visivo. L’artista cubista, infatti, si immagina di ruotare fra le mani l’oggetto da rappresentare o se si tratta di una persona, di girarle addirittura intorno. In questo modo egli non coglie più un solo aspetto, limitato, ma diversi, in successione. Da questa dimostrazione mentale, conoscitiva, dell’arte funzionale del primo Novecento, prende le mosse l’esperienza colta e divertente allo stesso modo, di Pedrini, che può gioiosamente scoprirsi giovane dopo anni di intensa attività creativa e didattica.
I soggetti diventano pretesti per la costruzione di un quadro-oggetto, un quadro che “funziona”, cioè che spiega, nella migliore tradizione pedagogica, come si possa insegnare e, giocando, imparare.
Ma il percorso di Pedrini non è lineare. A partire da questi fondamenti, molte sono state le trascrizioni, gli innamoramenti, le assunzioni, gli incroci che trasversalmente hanno accompagnato la sua ricerca. Un vero e proprio “ibridismo”, come aggiunge lui stesso.
Certo, le Avanguardie hanno interrotto la nostra visione della storia come processo successivo e costante, evolutivo per alcuni e rivoluzionario per altri, ma sempre progressivo. In effetti, il tema dell’Avanguardia sfocia in un altro più vasto, quello della mutazione storica che viviamo: la modernità, che peraltro è impaziente, vivace, relativa, mobile. Non più fondata su principi eterni, ma sul tempo e il suo fluire, l’istante, il nuovo, l’incostante, il mortale, le mutazioni, l’irregolarità, l’insolito. Ma l’Avanguardia è solo un aspetto della modernità, poiché quest’ultima comprende non solo rotture, ma anche restaurazioni. Con una certa regolarità appaiono e scompaiono stili che guardano al passato e che confondono il presente.
Pedrini è attento all’arte e ai richiami della storia dell’arte, tuttavia poco gliene importa. Qualcosa lo distrae dalle concettuosità: è l’entusiasmo della scoperta, la sorpresa di una apparizione, l’incanto di uno sguardo, lo stupore di un ritrovamento, il sussulto di una rivelazione, la struggente magia di un
ricordo. Niente malinconie, ma la bellezza né troppo esibita né troppo nascosta di un riappropriarsi
del vissuto, ora nuovo, ora futuro. Dall’arcaismo dell’essenziale alla modernità di un manierismo sperimentale, dunque. I richiami sono lì, tornano, se ne vanno, ritornano, ma Pedrini, nella maturità di una sua poetica, forse non ascolta più, tira diritto con una pratica che ha il sapere del mestiere e la necessità della conservazione dei luoghi. Artiere e ambientalista, invadente costruttore fuori, virtuoso sognatore dentro.
Grattacieli, tour Eiffel, robot, vecchi televisori e moderni telefonini, Obama e Picasso, metropoli, trenini e automobiline, ciminiere, pennelli e curvilinee, strumenti da disegno e meccani, coltelli, bicchieri e suppellettili domestiche, piatti e taglieri, cannucce, bibite, zuppiere, pesci, fondi marini,
onde e cavallucci, matite e sagome infinite, motociclisti e nuvole, mani e gesti… un campionario incontenibile che solo la materia può trattenere.
La materia, i materiali, prima di tutto: carta, cartone, legno, gesso, creta, lamiera, poliuretano, nella frenetica ricerca di un riscatto, di una salvezza dallo spreco consumista dell’oggi, ma anche dalla “poltiglia” del riciclaggio. Un nuovo racconto, un altro essere delle stesse sostanze, con le loro originali qualità, durezze, levigatezze, trame, spessori, opacità, trasparenze…, un’altra storia.
Più interessato al mezzo che al messaggio, quando però la forma è contenuto. Detto con McLuhan,
il medium è il messaggio. La caratteristica del nostro tempo è la ribellione contro gli schemi imposti. Dunque i mezzi, intesi come prolungamenti che la natura ha dato all’uomo per percepire e comunicare, producono conseguenze di ordine psichico e fisico la cui intera portata può essere valutata solo con criteri nuovi, assolutamente spregiudicati. Se i veri effetti dei media non corrispondono più a quelli voluti e programmati, allora i significati psicosociali della comunicazione vanno cercati altrove: nella materia, che si fa nella forma che il contenuto assume entro la sfera d’azione di ogni singolo strumento tecnologico. Per ottenere l’essenzialità delle forme
di cui si diceva, Pedrini si serve di una semplificazione che sa di voluto e forzato primitivismo infantile e che ci ricorda le immagine naive.
Egli sperimenta i materiali per una diversa, ipnotica, demiurgica operazione di recupero.
Le suggestioni di Picasso, Delaunay, Boccioni, Depero, Carrà, le tecniche di scomposizione, simultaneità, spazialità, valorizzazione di nuovi procedimenti quali il collage, il fotomontaggio, “l’oggetto trovato”, hanno portato all’irruzione della realtà nell’opera d’arte e hanno portato Pedrini
lungo un filo diretto, a partire dagli anni Ottanta, al coinvolgimento in un gruppo FUTURE-POP,
dove la Pop-Art ispira più per le qualità fisiche, energetiche e metamorfiche dei materiali o dei prodotti industriali che non per il mito americano della accattivante società massmediatica. La tradizione del nuovo, si potrebbe dire.
Talvolta Pedrini è tentato da ironiche provocazioni neodadaiste, non dire nulla per dire con sarcasmo tutto. Ma resta prevalente una trasfigurazione, sempre figurativa, del quotidiano,
indotto dal suo antico amore per il pezzo di vita negli “oggetti-materiali” che lui preleva dalla memoria, non semplicemente decontestualizzati, ma manipolati e come rigenerati dai ritagli del disegno e dall’intervento sensualmente “caldo” ed emotivo della scultura-pittura. La sua funzione, infatti, è ben più che decorativa, ma capace di legare ed esaltare i frammenti, i relitti inquieti e frusti
oppure garruli e petulanti che emergono dalle acque dell’esistenza.
Il quadro-oggetto invita, pertanto, ad una lettura meramente soggettiva ed emancipata.





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